Le Rocche del Gatto,quella maledetta puzza di Liguria…

“Per fare un fior di vino bisogna lavorare in serra” scherza Fausto De Andreis mentre noi guardiamo con curiosità immensa questa cantina davvero atipica e incredibile. Ci saluta  porgendoci i bicchieri. Gli dico che va bene anche uno in due con Roberto, ma Fausto non è d’accordo perché mentre si beve bisogna essere liberi di gestire e aspettare il vino senza vincoli né fretta. Subito assaggiamo il Vermentino 2018 che ha un agrume splendido e una mineralitá molto evidente. De Andreis fa le stesse cose per tutti i suoi bianchi, vinifica in rosso e li lascia tre settimane sulle bucce.  Godiamo di acidità e morbidezza che vibrano nel bicchiere. Al naso è una lama che fende e anche in bocca. Passiamo al Pigato 2018 che ci offre un’ intera orchestra d’aromi. Ha tutto l’agrume di prima cui aggiunge erbe aromatiche, resina, salvia e rosmarino e il profumo degli scogli dove si infrangono continuamente le onde, quelli immersi nell’acqua profonda, a cui ci si aggrappa quando abbiamo nuotato troppo. Si sente la buccia essiccata ed una maggiore concentrazione minerale, più sapido.

De Andreis dice che nel vino si comincia dal prendere tutto quello che da la vendemmia, dopo si pulisce “si mette in bella” . Intanto il Pigato tira fuori thè verde e foglie di tiglio. Assaggiamo la stessa vendemmia da un altro tino d’acciaio, sempre Pigato. L’agrume  si definisce meglio, è chiaramente lime e pompelmo, chiude magnificamente con sentori di lievito di birra e torba affumicata.

“I vini non devono essere stravolti. Vinificare in bianco per me è stravolgere l’uva.”

“Il vino non è una bevanda,deve darti emozione. Deve esprimere il vitigno, il territorio e le tradizioni di quel luogo. Lo dice uno che è alla 66 esima vendemmia e ci è arrivato con un approccio differente. Facendo l’analisi tecnica del fenomeno (da ragazzo lavoravo in Olivetti, ho studiato pensando di fare altro), sensazione dopo sensazione, una alla volta metti là e poi ricuci tutto alla fine. Quando qualcosa ti ricollega a qualcos’altro, il filo logico conferma che molto probabilmente sei arrivato alla verità. Ho cose in sospeso nei cassetti da vent’anni che ancora attendendono che gli dia una risposta”.

Assaggiamo il Vermentino 2016 che Fausto definisce un “Vermentino d’antologia”. Ovviamente tutto è classificato come vino da tavola.  ” Perché la Doc non se li merita questi vini.”  Ci buttiamo il naso dentro ed è chiaro cosa volesse definire il termine “antologia”. Intrigati ci gustiamo le sensazioni e Andreis sorride: “la maledetta puzza di Liguria!”

In bocca è velluto puro. Ginestra macchia mediterranea, pan brioche,burro …ma Fausto non è d’accordo, dice che il burro è un’altra cosa e devo avere pazienza. Intanto io e Roberto continuiamo ad inzupparci i sensi: crostata di marmellata, Regina Claudia matura, fragranze di sandalo e ginger che danzano insieme. Questi vini sono tutti dotati di una complessità emotiva, non solo sensoriale. Prendiamo, come se fossimo nel paese delle meraviglie altri assaggi dai fusti. Arriviamo allo Spigau 2012 che è ancora libero, come il concetto di chi lo ha voluto. È lì che aspetta il momento solo suo, per passare alla bottiglia senza un tempo stabilito, ma solo l’attesa di ciò che deve essere.  Arriva potente l’idrocarburo al naso e in bocca,e ancora pane imburrato e caramello salato, cresce l’intensità di tutto ciò che c’era negli altri.

Spigau 2011: Andiamo dietro a Fausto nella zona che davvero sembra una serra. Mi tengo stretta il 2012 intanto. Lo aspetto (…benedetto il momento in cui non mi hanno dato retta per un solo bicchiere!).  Roberto  prende vino per entrambi. Tutto un altro splendore, come una slava e una mulatta bellissime, questo è di certo il più penetrante di tutti. Legno di sandalo, note intense di fiori bianchi e gialli, orchidee amazzoniche: è il più floreale e sensuale. Sempre burroso e sapido.

Fausto ci porta ad assaggiare lo stesso vino, di cui ha imbottigliato una parte per curiosità. È un altro insieme, le intensità cambiano e si comprende il perché dell’attesa senza fretta. Tutto può essere. Assaggiamo anche il Pigato e il Vermentino della stessa annata: eccellenti (ma siamo ancora stregati dallo Spigau per concentrarci) .

“Vini liberi perché fatti in libertà”

Fausto in vendemmia fa in modo di raccogliere e convogliare una parte delle uve migliori per lo Spigau. Dopo di ché tutti i vini ricevono le stesse cure e percorrono la stessa strada. È un vigneron come una volta, per lui vinificare le uve in bianco è togliere una parte essenziale per il vino, è un errore che porta a farne altri ancora più gravi come aggiungere correttivi e sostantivi  per sopperire a mancanze e pochezze. Per lui è essenziale il benessere della pianta di cui l’uomo è il solo responsabile. Non defoglia e cura scrupolosamente la salute dei grappoli affinché l’uva vinificata interamente sia perfetta.

Ci spostiamo dentro la cantina, davanti all’ingresso c’è un tavolo dove potrebbero mangiare comodamente otto persone, apparecchiato con due dozzine di bottiglie aperte e ritappate. Alcune contengono poco più di un bicchiere di vino, altre sono a metà. Sono i preziosi resti di decine di assaggi iniziati chissà quando e chissà da chi. Le annate in “degustazione” coprono tre lustri e un’infinità di quelle emozioni che deve dare il vino. Vedo lo Spigau 2003,2007, 2008, e così via per Pigato e Vermentino. Le vendemmie sono tantissime,2015, 2011,2005,  2006… È un caos splendido in cui gli assaggi cominciano a inseguire le parole e i concetti.  Parliamo di idrocarburo, di annate calde,di vendemmie precoci oppure perfette ed ogni volta assaggiamo un esempio tra quelle bottiglie aperte e ne riapriamo di nuove. Il vino si esprime con Fausto con una complicità esperienziale. Si parla di morbidezze e, quel famoso burro che attendevo mi arriva dritto al cuore con l’assaggio di Spigau 2008, aperto forse da dieci giorni e ormai agli sgoccioli! Questi vini incredibili affascinano ad ogni sorso senza via di scampo!

Fausto produce anche Rossese R.l.p. Ormeasco  e Sinseaur (antico autoctono dell’imperiese)   ma i bianchi sono il vero scrigno dei tesori di questa cantina, capaci di imprimersi per sempre nella memoria con una complessità enigmatica, acidità vibrante e mineralitá fenomenali che paradossalmente nascondono e dichiarano la loro origine ligure.

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